Salvare il post-horror

Non so se ve ne siete accorti, ma sono tempi d’oro per l’horror. Al cinema il genere sbanca i botteghini, con il 2017 che si annuncia essere l’anno più remunerativo di sempre, trainato da Get Out di Daniel Kaluuya, Split del redivivo M. Night Shyamalan e naturalmente It. Altrettanto bene vanno le serie TV, con saghe come quella di The Walking Dead, arrivata all’ottava stagione: quasi un record per la TV complessa. In letteratura abbiamo visto negli ultimi anni uno scrittore come Thomas Ligotti passare dal culto di una nicchia di appassionati a fenomeno mainstream.

C’è poco da stupirsi, direte voi: tra Isis, riscaldamento globale, rischio di armageddon atomico e tutte le distopie reali e immaginarie che ci circondano è naturale che le nostre società abbiano un bel po’ di zone buie con cui fare i conti, e quale genere meglio dell’horror abbiamo per cercare di dare un senso a tutta questa oscurità?

Ovviamente avreste ragione.

La stessa filosofia sta lavorando intensivamente sul concetto di horror da almeno un decennio. Ha scritto Eugene Thacker nel primo volume della sua serie Horror of philosophy (In the dust of this planet, Zero Books, 2011), in un mondo che sembra diventato ingovernabile la categoria dell’orrore è semplicemente essenziale per comprendere quello che ci sta intorno.

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