Il ragazzo con due teste

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Era nato con due teste: non una buona e una cattiva, come si potrebbe immaginare, ma pur sempre una in perenne disaccordo con l’altra: se la prima diceva bianco la seconda ribatteva nero, se la prima urlava il suo odio l’altra si contorceva d’amore. E così via, all’infinito.
All’inizio fu difficile reggere il conflitto, accogliere in sé quel costante dibattere. Poi ci fece l’abitudine. Ascoltava ora una testa ora l’altra, concedeva qualcosa ad entrambe, cercava (a volte senza riuscirci ma spesso con successo) di ristabilire la pace. Imparò insomma a convivere con le sue due teste, e per un momento, verso i dieci anni, la vita gli sembrò un sogno, un regalo fantastico, uno splendido grumo di possibilità indefinita.
I problemi arrivarono quando cominciò a frequentare le scuole medie. Lì conobbe altre persone come lui e si innamorò di una ragazzina che era nata con quattro braccia. O meglio: una delle sue teste si innamorò della ragazza, mentre l’altra cadde in uno strano torpore che era fatto di tristezza, ma anche di sonno e di risentimento. La ragazza, che aveva quattro braccia ma una sola testa, dal canto suo lo amava incondizionatamente. Ma la prima volta che provarono a baciarsi successe qualcosa: mentre due delle braccia della ragazza lo attiravano a sé, lo accarezzavano e lo stringevano, le altre due lo allontanavano con violenza e cercavano di colpirlo.
Questo non successe solo la prima volta che cercarono di baciarsi, ma anche la seconda e la terza e la quarta. Finché alla fine si stancarono entrambi di provarci e si lasciarono, una triste giornata di pioggia, ancora innamorati l’uno dell’altro ma senza mai essersi baciati nemmeno una volta.

La fine di questo amore rappresentò per il ragazzo con due teste la fine dell’infanzia e l’inizio dell’adolescenza, o l’inizio della prima fase dell’età adulta, non sapeva decidersi tra le due diciture. Certamente fu per lui il primo atto di qualcosa di spiacevole e di tetro: il prologo di un naufragio o il prologo della conoscenza: poi vennero dieci anni di dolore e solitudine.
Al liceo si innamorò di una ragazza con quattro gambe, e mentre facevano l’amore (in maniera goffa e imbarazzata, lontani anni luce dal provare piacere o anche solo il riflesso del piacere) due gambe lo avvolgevano a sé come lacci, altre due si dimenavano, lo respingevano, si abbattevano con violenza inaudita sulla sua schiena. Provarono a parlarne ma non servì a nulla: le due teste dibattevano in continuazione tra di loro, e le gambe della ragazza sembravano prive di qualunque controllo.
Il dialogo che ne scaturì fu confusionario e frustrante, la ragazza cominciò a sentirsi in colpa per il comportamento delle sue gambe, lui finì per soccombere alle urla sempre più inferocite delle sue due teste.
Continuò a frequentare la ragazza con quattro gambe ancora per qualche tempo, poi, com’era prevedibile, lei un giorno lo lasciò e non volle mai più rivederlo.

All’università le cose si complicarono ulteriormente. Nel suo corso di studi non c’erano ragazze con più arti del normale, ma in compenso quasi tutte le ragazze avevano quattro occhi, o sei occhi, o addirittura otto o dodici occhi. A metà del primo semestre si innamorò di una di loro, che aveva solo sei occhi ed era gentile, gli sorrideva spesso e si vestiva con gusto. La portò fuori a cena in un ristorante del centro. Le raccontò della sua infanzia e della sua adolescenza che avrebbe voluto conclusa ma che in realtà non dava cenni di volersi concludere, e mentre parlava lei lo ascoltava con attenzione, ma solo con due occhi perché altri due lo guardavano con astio mentre l’ultimo paio si perdeva distratto tra i tavoli del ristorante.
Quella sera si baciarono, ma quando tornò a casa si sentiva molto triste. Gli occhi di lei che invece di osservarlo si distraevano l’avevano fatto sentire stanco e inutile. E la stanchezza si era trasformata in umiliazione (ma anche in rancore e poi in rabbia) quando, mentre lui e la ragazzi si baciavano, si era accorto che l’ultimo paio di occhi sbirciava annoiato l’orologio.

La storia con la ragazza che era nata con sei occhi si trascinò più a lungo del previsto (perché entrambi erano soli, impauriti e persi in una città che non conoscevano e che appariva loro ostile le fredda) ma poi, un giorno di primavera, finì.
Il giorno stesso in cui si lasciarono il ragazzo con due teste prese un tram e arrivò fino al capolinea. Poi camminò un’ora buona per strade che non conosceva, che andavano arrampicandosi sulla collina e al tempo stesso facendosi più spoglie e degradate, come se per qualche strano motivo la città dei ricchi e la città dei poveri esistesse contemporaneamente in quel quartiere sconosciuto. Poi trovò una panchina, si accese una sigaretta e si mise a pensare.
Per prima cosa pensò che non avrebbe mai voluto nascere con due teste, che se solo avesse potuto se ne sarebbe amputata una con le proprie mani.
La seconda cosa che pensò fu che il primo pensiero era falso, amava entrambe le sue teste dello stesso amore e non ne avrebbe ceduta una per tutto l’oro del mondo.
Poi pensò che anche se avesse avuto una sola testa avrebbe finito per incontrare sempre ragazze con quattro braccia o quattro gambe o sei occhi, e che in realtà, a ben guardare, tutti gli orologi avevano quattro lancette, le automobili otto ruote, le case due tetti; che i ragazzi con due teste non erano rari come sembrava (e forse, chissà, anche quelli con quattro o otto o dieci teste), e che tutti i gatti avevano otto zampe e le donne quattro seni (due per allattare, pensò, e due per fare l’amore) e le religioni monoteiste due dei (quello che condanna e quello che assolve) e che probabilmente il più maturo degli uomini maturi era anche un bambino o addirittura un feto privo di pensieri e totalmente in balia delle pulsioni primarie.
L’ultima cosa che pensò fu che l’adolescenza non finisce mai, e questo, senza che capisse il perché, fece ridere entrambe le sue teste a crepapelle, come non avevano mai riso prima e come, forse, non avrebbero riso mai più.

(photo: CC bcamil tulcan on flickr.com. Il racconto è liberamente ispirato alla canzone “Two-headed boy” dei Neutral Milk Hotel)


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Una replica a “Il ragazzo con due teste”

  1. avevo promesso di pubblicare un racconto a settimana partendo da lunedì scorso. quindi sono in ritardo: lo so: ho deciso di aspettare un po’ per dare più spazio alla bella discussione sul caso englaro. colgo comunque l’occasione per rimangiarmi quanto mi sono detto, ovvero: non pubblicherò un racconto a settimana per un mese e mezzo, pubblicherò ALMENO un post a settimana su boring machines. se avrò qualcosa di meglio da dire lo dirò, altrimenti pubblicherò un racconto. così mi sembra più realistico e anche più onesto.

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