jonathan lethem – ragazza con paesaggio

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Jonathan Lethem è uno strano personaggio.
Leggi Ragazza con paesaggio è hai l’impressione di leggere due libri contemporaneamente. Uno si muove sottoterra, striscia come un verme, ricorda il rumore di fondo di un vecchio amplificatore. L’altro racconta. Spiega. Definisce.
Il primo è una storia di tumulti adolescenziali, una corsa a velocità folle verso l’autodistruzione, una tentazione irresistibile all’annullamento. Il panorama alieno che gli fa da contorno è magistrale, in questo senso: edifici diroccati, deserti di polvere rossa, creature ambigue e silenziose. Una teenage wasteland (direbbero gli Who) che sta a metà strada tra Sergio Leone, Giorgio De Chirico e T. S. Eliot. Una zona senza spazio e senza tempo. Mitica, crepuscolare.
Il secondo fa la parte del superio. Ha una tendenza reazionaria all’ordine: costruisce dove l’altro distrugge, smussa gli angoli, addolcisce le tinte. Razionalizza il caos frenetico della corsa verso la morte. Inibisce gli istinti. Recupera le istituzioni.
Più importante di tutto: edifica significato.
Perché questa, in fin dei conti, è una storia di significati e di tensioni: la storia della tensione tra il mondo asignificante degli istinti (leggi: adolescenza) e quello significante della razionalità (leggi: età adulta).
Tra i due estremi la corda è tesa come un nervo, pericolosa come una scarica elettrica, tagliente come la lama di un rasoio.

La narrazione genera il dubbio. È chiara come un’illuminazione, confusa come un sogno. Estremi che convivono, ancora una volta.
Pella Marsh ha quattordici anni e una certa nausea che si mischi all’euforia che si mischia ai primi appetiti sessuali. Ha una madre morta di cancro, un padre fallito come politico e come uomo. La terra è un luogo inospitale: l’ozono si è definitivamente consumato e i raggi UHV hanno reso la superficie inabitabile.
Allora la famiglia Marsh fugge. Migra su un pianeta poco colonizzato ai margini del sistema solare, una volta abitato dalla popolazione degli archisti, ora scomparsi per motivi ignoti.
Cosa si trova su un pianeta lontano anni luce dalla Terra? Qualche famiglia americana; animali più o meno fatiscenti che passano la loro esistenza a correre e a spiare gli esseri umani; archisti troppo stupidi per fuggire, che vagano nel deserto come naufraghi; Efram Nugent, cowboy dalla personalità indefinibile, paradigma vivente di qualcosa di lugubre e violento e incredibilmente attraente, signore malvagio (o forse no) e affascinante (o forse no) di questo pianeta fatto di relitti architettonici e umani.
E un virus alieno, che fa qualcosa di molto brutto agli esseri umani di età non adulta…

Poi comincia la fuga, la corsa, il movimento frenetico che è tentazione del nulla. E la corda si tende, tra poli opposti che contemporaneamente si attraggono e si respingono. Un romanzo racconta quello che l’altro prova sulla propria pelle. Il silenzio copre l’urlo, lo reprime e allo stesso tempo lo normalizza, gli conferisce una forma percepibile all’orecchio umano.
È una scatola cinese, un file compattato: due clic e le strade si biforcano, la storia si trasforma in due storie.
Il che significa: tensione. Compresenza di due stati opposti in uno stesso luogo (in una stessa persona) ovvero (ed eccoci al punto) adolescenza: la ragazza è contemporaneamente donna e bambina.
È in questo modo, più o meno, che il tema del racconto diventa il modo di raccontare.

Si potrebbe anche dire che questo libro è un contenitore senza fondo, una citazione continua e deliberata.
Partiamo dalle cose più semplici. Che Lethem ci sapesse fare con i generi lo sapevamo già da tempo. Ma qui la tecnica è di livello superiore: non solo Ragazza con paesaggio sposa fantascienza e western, ma lo fa citando a sua volta clichè popolari all’interno del clichè di genere. Tanto per intenderci: il terribile Efram Nugent, incarnazione quasi mitica dei principi di Eros e Thanatos, si ritrova di tanto in tanto a somigliare ad una macchietta dell’american dream come John Wayne. L’ironia insita in questa contraddizione, naturalmente, non va nemmeno commentata.
Ma c’è dell’altro.
Per esempio una vicinanza quasi incredibile tra questo romanzo e la lettura deleuze-guattariana dell’opera di Kafka: una rizoma (il pianeta alieno, la morte della madre, questa cosa feroce che è l’adolescenza) e una linea di fuga (il movimento frenetico di Pella, trasformata in un essere rapido come un impulso, pressoché invisibile e totalmente asignificante).

Insomma Lethem cita, strappa brandelli di cultura alta e bassa, mangia, digerisce, espelle. E poi con l’abilità di un grande artigiano, un po’ grezzo e un po’ raffinato, incolla per ricostruire.
Un bel romanzo, forse non un romanzo eccezionale.
Ma un’opera incredibile.
Da leggere, smontare e poi rimontare, a proprio piacimento.

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