aimee bender – creature ostinate

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Storie che sono qualcosa di cattivo.
Eppure storie che sorridono.
Donne ben vestite. Uomini che seviziano uomini più piccoli. Dita a forma di chiavi. Denti.
E tutto percorso da un’ironia e da una pietà umana che tagliano. Storie impossibili per l’amore con cui è raccontata la crudeltà, la gioia con cui è vissuta un’incomprensione cosmica.
Terzo racconto, intitolato “Via”: “Avevo dipinto un campo di grano, è vero, ma a guardarlo da vicino si capiva che attaccato ad ogni spiga c’era un coltello scintillante”
Quando guardi da vicino trattieni il fiato. Hai l’impressione che le parole si aprano, ti accolgano in uno spazio che non conosci e non riesci perfettamente a comprendere.
La narrazione diventa cosa. Si concretizza. Si costruisce.
Ci sono scrittori che scrivono racconti e scrittori che edificano mondi. Ci sono frasi che veicolano un significato e frasi che aprono porte.
Il mondo di Aimee Bender è mitologia. È leggenda. È immaginario collettivo traslato nel regno dell’assoluto, sottocultura televisiva che diventa fiaba, racconto perverso di una bambina psicotica.
È l’eccezionalità di un quotidiano che contemporaneamente si disgrega e si ricostruisce. Non è frammentazione: è la colla che tiene assieme i brandelli di un’esistenza parcellizzata, il filo che unisce i singoli, che fonda la comunità globale della comunicazione.
Perché questo sono i racconti di Aimee Bender, leggende post-postmoderne di un villaggio globale che si è fatto comunità.
C’è qualcosa di molto moderno, in tutto ciò. Un medievalismo di ritorno che solo il popolo di internet, della rete sociale, dell’intersezione come valore può comprendere appieno.
Il racconto inizia e finisce. Il libro inizia e finisce.
Finiscono entrambi ma potrebbero non farlo. Perché in questo racconto e in questo libro c’è una sostanziale libertà della parola, una sostanziale autonomia del testo dal libro come oggetto.
C’è una sostanziale oralità nella parola di Aimee Bender. I suoi racconti sono chiacchiera popolare, passaparola. Sono popolati da esseri mutanti e prodigi della natura, ragazze da copertina e déi vendicativi. E tutto questo senza stupore, perché nessuno si stupisce guardando il telegiornale, perché per Ulisse era del tutto normale incontrare sul suo cammino un gigante con un occhio solo.
È sospensione del giudizio.
Accettazione di un mondo in perenne mutamento, dove il nuovo (l’assurdo) non sconvolge più, ma si configura come “pura e semplice sopravvivenza” (Vattimo).
Gehlen l’ha chiamata post-histoire.
Aimee Bender dice: benvenuti.

(photo by arobe2 – flickr.com)

Una replica a “aimee bender – creature ostinate”

  1. bravo, hai colto appieno il senso di “fiabesco postmoderno” del libro della bender (che pure a me non ha fatto impazzire). anche la tua recensione di adam è davvero ben fatta.
    mi sa che hai talento, amico.
    dacci dentro.

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