
Qualche anno fa Francesco Guglieri mi chiese un saggio per l’allora neonata rivista della narrativa straniera di Einaudi, Biancamano2. Conscio che i soldi che facciamo scrivendo libri o scrivendo di libri li spendiamo per comprare altri libri, in un ciclo di dolore che Schopenhauer levati, chiesi di essere pagato in natura, cioè in libri. Erano tutti libri sulla fotografia (Dyer, Ritchin, Barthes) e mi servivano per scrivere un racconto a cui stavo lavorando, che parlava del tentativo della fotografia di fermare il tempo, della giovineza, di come cambiano le città, di Eugène Atget e della Parigi del Barone Haussmann. Come spesso capita con quello che scrivo, il racconto rimase incompiuto.
Quando qualche mese fa Francesco mi ha chiesto un saggio per la neonata collana/rivista di Einaudi, i Quanti, mi è sembrato naturale ripartire da dove avevo lasciato. Il saggio però si è trasformato in un racconto, o in una forma ibrida a cavallo tra i generi. Il centro si è spostato sulle strade incompiute e sui percorsi potenziali, sulla memoria e sull’autenticità del ricordo, sull’arte come metafora della vita, sulla Francia, sulle divagazioni e su Christian Boltanski, uno degli artisti che meglio di tutti hanno raccontato il nostro rapporto inquietante con il passare del tempo e l’oblio. Soprattutto però è diventato una riflessione sulla mia generazione e su come nel nostro “coming of age” le promesse della tecnologia si siano trasformate in minacce, e su come senza accorgercene ci siamo svegliati un giorno in un mondo irriconoscibile. Da oggi il libro si può comprare sul sito di Einaudi e si trova su Goodreads.
Una parola sui Quanti. Come sa chi mi conosce, sono un grande fautore delle riviste letterarie e saluto con gioia ogni nuova rivista, sopratutto quelle che cercano di spingere il modello verso territori nuovi e inediti. I Quanti fanno esattamente questo: con il loro ibrido tra libro e longform, tra forma classica e prodotto completamente digitale, colmano un buco enorme nel panorama editoriale italiano e stimolano la sperimentazione di forme altrettanto ibride e innovative. Sono contento che questo bel progetto mi abbia dato la possibilità di spingere la mia scrittura in una direzione possibile che forse altrimenti non avrei esplorato, a dimostrazione che siamo anche le forme che realizziamo, i contenitori in cui ci è permesso di esprimerci. Anche questa è una vita potenziale e chissà dove porterà.