Su Chthulucene di Donna Haraway

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L’altro giorno leggendo Chthulucene di Donna Haraway riflettevo sul fatto che tra tutte le soglie che stiamo attraversando in questi anni strani c’è anche quella che ci porta via dall’individualismo e verso un mondo che esige sempre di più risposte collettive: puoi cavartela da solo finché il problema è quello di fare più o meno soldi, avere una casa più o meno grande, ma fenomeni immani come le pandemie e il riscaldamento globale richiedono per forza di essere affrontati insieme.

Non ero un fan di Jeremy Corbyn, e anche se anche Joe Biden non avesse vinto in Michigan avrei avuto poche speranze di vedere Bernie Sanders alla presidenza degli Stati Uniti, ma il solo fatto che proposte politiche del genere siano esistite e abbiano avuto un certo seguito potrebbe significare che un futuro diverso è possibile: come vuole la più classica tradizione della malinconia di sinistra, forse queste battaglie perse sono necessarie per traghettarci verso un mondo nuovo.

D’altronde – non per nostra volontà, e per ragioni che preferiremmo tutti evitare – proposte che si appellano alla collettività stanno tornano a essere attuali. Se per decenni l’appello della sinistra a una società più giusta ed equa andava contro l’onda della storia, oggi è la proposta del capitalismo sfrenato che sta diventando sempre più inattuale. Se non fosse bastata la crisi del 2008, il danno inflitto alle borse dal coronavirus (un virus non particolarmente mortale che è in giro da pochi mesi) dovrebbe farci riflettere sul fatto che il nostro stile di vita è fragile: e in futuro le cose peggioreranno, su questo ci sono pochi dubbi.

Quindi non mi pare avveniristico o fantascientifico sostenere che gli eventi di questi ultime settimane non sono una semplice interruzione dopo la quale torneremo a fare la vita di sempre, ricominciando ognuno a pensare a sé stesso. Mi sembra ormai evidente che senza solidarietà tra umani e umani, ma anche tra umani e tutto il resto (animali, ambiente) molto probabilmente verremo semplicemente spazzati via. Il che rivela anche come la massima di Jameson/Zizek/Fisher per cui “è più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo” non sia, in fondo, più tanto attuale: ora che la fine del mondo è una realtà, la fine del capitalismo (o almeno di questo capitalismo) è la necessaria conseguenza.

Haraway si riferisce (anche) a questa nuova forma di solidarietà quando parla della necessità di “make kin”, creare legami. Anche per questo consiglio la lettura di Chthulucene: è un libro importante e Claudia Durastanti ha fatto un gran lavoro per renderlo leggibile a un pubblico italiano. Se invece proprio non avete tempo (ma perché no, visto che dovete stare a casa, a proposito di solidarietà e individualismo) potete leggere questo articolo.

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