Broadchurch

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Ho un rapporto ambiguo con Broadchurch, la serie televisiva britannica prodotta da ITV a partire dallo scorso anno: guardandola qualcosa mi infastidisce, ma non smetto di guardarla. La storia racconta delle indagini relative all’omicidio del quindicenne Danny Latimer, trovato morto su una spiaggia del Dorset. Quest’anno è stata mandata in onda la seconda stagione.

Da un lato è niente di meno e niente di più di un crime show abbastanza tipico, con i pregi e i difetti dell’industria televisiva britannica in termini di indipendenza della produzione e relativo corto respiro delle trame, che mancano quasi sistematicamente dell’ambizione delle serie americane (anche nei casi migliori, vedi The Honourable Woman). Dall’altro è un ritratto della provincia inglese così struggente che non posso fare a meno di esserne affascinato.

In questo senso: il detective a capo dell’indagine, lo scozzese Alec Hardy (David Tennant) è malato di cuore e ha alle spalle una carriera di fallimenti. Non fallimenti spettacolari, da antieroe chandleriano. Fallimenti veri: è semplicemente un poliziotto mediocre. La sua partner Ellie Miller (Olivia Colman) è il ritratto dell’amica di famiglia a cui vuoi bene ma di cui profondamente ti vergogni. È sguaiata, pedante, parla a sproposito, si fa travolgere dall’emozione in maniera goffa. Mentre si relazionano tra loro verrebbe voglia di guardare da un’altra parte per l’imbarazzo.

Lo stesso vale per gli altri personaggi, giornalisti di quotidiani locali che vogliono fare (e non faranno mai) carriera nella stampa nazionale, avvocatesse che credono di essere (e non sono) brillanti, amici di famiglia la cui personalità borderline viene accettata perché il luogo non offre niente di meglio. Ogni volta che guardo Broadchurch mi viene in mente la Pasqua passata a Eastbourne a mangiare fish & chips per assenza di ristoranti propriamente detti. I treni che attraversano le Midlands e sui quali salgono donne con vestiti fuori moda che vanno a Londra per visitare parenti in ospedale e di fronte alla città si sentono fuori posto, a disagio.

I creatori di Broadchurch sono consapevoli della sensazione che trasmette la serie? All’inizio ero convinto di no, soprattutto per la naturalezza (direi: la spontaneità, come se non ci fossero alternative, altri argomenti di cui parlare o altri linguaggi per parlarne) con cui la provincia viene rappresentata: senza nostalgia e senza avversione. Poi ho scoperto che l’autore della sere è Chris Chibnall, che ha girato Torchwood e puntate del Dottor Who, ha fatto parte di compagnie di teatro sperimentali ed è lo show runner di Law & Order UK. Non proprio uno sconosciuto.

Chibnall, originario del Lancashire, ha però raccontato di aver ideato Broadchurch durante un periodo in cui viaggiava molto per lavoro e passava poco tempo con la famiglia nella sua casa del Dorset. Dunque non solo è nato in provincia, ma ha scelto di vivere in provincia nonostante gli studi universitari londinesi e i contratti con case di produzione USA. Lo sguardo partecipe che posa sulla provincia che fa da sfondo a Broadchurch è così visibile da essere talvolta quasi fastidioso. Uno sguardo senza lirismo (come accade invece ad esempio in Glue) e senza rabbia. Trasparente fino alla vertigine.

In Italia Broadchurch va in onda sulla rete televisiva Giallo dal 28 aprile scorso. In America ne hanno fatto un remake, Gracepoint, con protagonista sempre David Tennant ma non Olivia Colman, sostituita dalla ben più avvenente Anna Gunn. La location è la splendida Jurassic Coast nel sud-ovest dell’Inghilterra e la colonna sonora è in gran parte scritta da Ólafur Arnalds.

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