Mi è arrivata ieri la notizia che l’Opac Sbn è a rischio chiusura: secondo un comunicato diffuso dal personale dell’Iccu e sostanzialmente confermato dalla direttrice dell’istituto Rosa Caffo mancherebbero i fondi per mantenere attivo il servizio, che soccomberebbe nel caso di ulteriori tagli. L’Opac Sbn è nato nel 1997, in concomitanza con l’arrivo di internet nel nostro paese: praticamente non è mai esistita un’Italia in rete senza il suo catalogo pubblico online.
Le conseguenze di una perdita del genere sono chiare a chiunque abbia scritto una tesi di laurea o abbia dovuto stilare una bibliografia per qualsiasi motivo: sostanzialmente, significherebbe dover cercare un volume sul catalogo di ogni singola biblioteca pubblica, da Aosta a Palermo. Più ancora, pensare a una rete bibliotecaria senza un catalogo collettivo del patrimonio librario è come pensare a una enorme biblioteca senza un’indice o al web senza motori di ricerca: una inservibile massa di informazione che ricorda da vicino, scusate la banalità del paragone, il babelico universo descritto da Borges (La biblioteca dei Babele, in Finzioni, 1941).
Soprattutto però è l’ennesimo segno della decadenza culturale a cui l’Italia sta andando incontro da anni, un po’ spinta dalla crisi economica e un po’ in assoluta autonomia: un’immagine iconica come quella delle feste di Arcore o del terremoto all’Aquila. Spero che l’Opac riesca a salvarsi, ma questi sono i momenti in cui sono contento di vivere a qualche migliaio di chilometri di distanza. La notizia del comunicato mi è arrivata tramite Giulio Mozzi, che ne ha scritto per “Vibrisse”.
(Foto: particolari de “La torre di Babele”, Pieter Bruegel il Vecchio, 1563)