1.
duemilatre – duemilasette, sulla terra
La scomparsa non è un atto necessariamente fisico. Gli esseri umani scompaiono di continuo: cambiano casa, fidanzato, gruppo di amici. A volte cambiano fede politica, religione, sesso. Spengono il cellulare. Si scordano degli altri esseri umani.
A volte semplicemente si ritirano in sèstessi, chiudono le porte al mondo.
Si scompare perchèil mondo va troppo veloce, oppure perchè va troppo lento. Perchè le cose fanno male. Perchè scomparire è un’altra maniera di non sporcarsi le mani, oppure perchè scomparendo si evitano le grandi tragedie della storia.
E ci sono molti modi di scomparire. Ci si può convincere che la carne significhi tentazione, corruzione, peccato. Si può vivere la vita in attesa della morte, o nella ricerca dell’estasi. Si può fare uso di allucinogeni, si può impazzire, si può perdere l’uso della parola, si può diventare asceti o vagabondi o anoressici.
Joseph K. scompariva trasformandosi in uno scarafaggio, Leopardi cantando l’Infinito nascosto dietro una siepe: Vladimir scomparve salendo su un treno alla stazione di Bologna, e da quel giorno per quattro anni nessuno lo vide più.
Per qualche mese si parlò di lui. Nei locali del Pratello, nelle aule studio, alle lezioni, in piccoli crocchi di ubriachi in via Mascarella, in piazza Verdi, in piazza Santo Stefano. Le sue ex fidanzate provarono a chiamarlo e trovarono il cellulare spento. I suoi amici andarono a trovarlo a casa e scoprirono le facce imbarazzate dei suoi inquilini, o ex inquilini.
Si parlava di Vladimir come si parla delle crisi di governo, della serie A, della figa: un’altra leggenda che sorreggeva il mondo spumeggiante dei ventenni nel Villaggio Globale. Niente di più e niente di meno, onestamente, alla fine dei conti.
Si parlava di Vladimir a trecento chilometri di distanza, nei piccoli negozi di un piccolo paese ai piedi delle Alpi. Fruttivendoli che da trent’anni vendevano la frutta a sua madre, insegnanti che gli avevano insegnato a leggere. Il migliore amico delle medie, la prima ragazza con cui aveva fatto l’amore, le donne che andavano a messa con sua nonna, i colleghi di lavoro dei suoi genitori.
Per qualche mese tutti parlarono di Vladimir e poi quasi tutti se ne scordarono.
La vita continuava, lasciando indietro i dispersi.
Quella sera del 17 marzo il padre di Vladimir parlò a sua moglie. Raccontò la telefonata senza omettere nulla. Sua moglie urlò. Poi pianse. Voleva telefonare alla polizia. Lui disse di no. Lei telefonò lo stesso.
Da quel momento all’interno della coppia molte cose cambiarono.
Innanzitutto smisero di fare l’amore. Questo li rendeva entrambi nervosi: ogni gesto si trasformava in una tentazione, in uno scherno, in un rifiuto.
Lui cominciò a sentirsi colpevole e insicuro. Avrebbe dovuto impedire a suo figlio di andarsene? Avrebbe dovuto implorarlo di restare vicino a loro? Minacciarlo di chiudere i flussi mensili di denaro diretti al suo conto in banca? Perchè aveva accettato tutto con tanta naturalezza, senza fare nessuna domanda, senza porsi nessun dubbio ragionevole?
Per prima cosa smise di dormire. Le domande lo assalivano nel cuore della notte, gli concedevano poche ore di sonno agitato, puntellato di incubi tremendi. La mattina anche il liceo si trasformava in un incubo. Era un incubo la vita con sua moglie, spogliata di qualsiasi gesto affettuoso, di qualsiasi complicità, di qualsiasi gioia.
Dal canto suo anche lei, esattamente come suo figlio, decise di scomparire. Per quattro lunghi mesi si chiuse in un silenzio intaccabile, ostile e rassegnato al tempo stesso. Finchè un giorno di luglio, mentre stava tagliando le carote per la cena, scoppiò a piangere. Da quel giorno non smise più: piangeva tutti i giorni un’ora al giorno, con metodo. Pianse e pianse e ancora pianse, fino a strapparsi gli occhi dalle orbite. E poi smise.
Quando smise anche di piangere cominciò a soffrire davvero. Capì che il problema non era la scomparsa di Vladimir, non soltanto. Non era suo marito, il suo lavoro, la menopausa, il precariato, le Torri Gemelle. Era qualcosa di più profondo, di intangibile e pericoloso. Cominciò a provare sensi di morte imminente. Andò da uno psicologo, poi da uno psichiatra. Prese gocce omeopatiche contro lo stress, poi qualche sonnifero, poi diventò dipendente dallo Xanax.
Quasi due anni dopo la partenza di Vladimir si guardòallo specchio e si accorse che era invecchiata. Era una donna di mezza età rovinata da mesi e mesi di sofferenze. Pensò he il tempo continuava a passare, nonostante tutto. E capì qualcosa che non sapeva definire.
Da quel momento in poi le cose migliorarono. C’era un matrimonio da ricostruire, ma non era impossibile. Un giorno i genitori di Vladimir uscirono a cena insieme. Qualche giorno dopo si diedero il primo bacio. Poi, una notte di gennaio, si ritrovarono a fare l’amore, senza nemmeno rendersi conto di quello che stava succedendo.
E anche loro, alla fine, ricominciarono a vivere.
E la terra? Cosa faceva la terra nel frattempo?
La terra nel frattempo non aveva smesso di girare intorno al sole. A prima vista poteva sembrare crudele, ma era così. Vladimir era scomparso e il tempo continuava a scorrere. Sua madre era in psicoterapia e il tempo continuava a scorrere. Suo padre dormiva un’ora a notte (un’ora tormentata da incubi allucinati) e il tempo continuava a scorrere.
A Bologna, a trecento chilometri di distanza, studenti di materie umanistiche si laureavano o abbandonavano gli studi. Qualche ragazza rimaneva incinta, qualcuno moriva in un incidente d’auto. Altri si innamoravano, litigavano, lasciavano per sempre un luogo, una donna, un’idea. Altri ancora si calavano un acido per cominciare la serata. E intanto il tempo non smetteva di scorrere.
In uno stesso istante lo zio di Vladimir fumava erba in India, i suoi inquilini stavano bevendo birra in casa, le sue ex ragazze stavano facendo sesso con altri ragazzi. Una bomba uccideva dieci persone a Baghdad, a Pechino una casa di contadini faceva posto ad un palazzo di venticinque piani, in Texas un condannato a morte aspettava l’esecuzione al buio nella sua cella. E nel frattempo Vladimir continuava ad essere scomparso.
Quando sua madre si vide allo specchio e capì di essere invecchiata il tempo stava scorrendo. Mentre i suoi genitori facevano l’amore dopo mesi di rancori il tempo stava scorrendo. Durante quell’orgasmo che sancì la fine dell’attesa e l’inizio di una nuova vita le loro cellule cerebrali stavano morendo a milioni.
Il tempo continuava a scorrere, nonostante tutto e nonostante tutti.
Tra il 2003 e il 2007, mentre una famiglia elaborava il lutto per un figlio scomparso, al mondo non passò nemmeno per la testa l’idea di fermarsi. La gente continuava ad alzarsi la mattina per andare a lavorare e continuava a tornare a casa la sera con gli occhi arrossati. Continuava ad accendere la televisione e a mangiare panini riscaldati negli autogrill. I ragazzini continuavano a masturbarsi nei bagni dei genitori. I professori ad insegnare la loro materia. Gli aerei continuavano a decollare, la gente nasceva e moriva, altri lutti venivano elaborati.
Scoppiò una guerra in Iraq, scoppiarono bombe a Madrid e a Londra. Milioni di persone morirono e milioni di esseri umani videro la luce per la prima volta. Bernardo Provenzano fu arrestato. Goerge W. Bush Jr. fu eletto presidente degli Stati Uniti per la seconda volta. Esseri umani gioirono ed esseri umani piansero.
Il mondo faceva a meno di Vladimir.
Tutto andava com’era sempre andato, e come sarebbe andato per sempre.
2.
duemilatre – duemilasette, altrove
Vladimir non percepiva nulla di tutto questo.
Vedeva intorno a sé un cielo viola, sentiva un ronzio indistinto in lontananza.
Non sapeva se era la realtà o se stava sognando, e non aveva gli strumenti per porsi la domanda.
Vide tutto. Fu presente in qualsiasi epoca storica del mondo, presente passata e futura. Fu ogni essere umano sulla terra, ogni vita che si stava vivendo, che era stata vissuta e che era ancora da vivere.
E scordò tutto.
E di nuovo percepì ogni cosa del mondo, e poi smise di percepire. E percepì di nuovo, e smise. Vide cose che avrebbe dimenticato, cose che non esistono e cose di cui non si può parlare.
E tornò a fluttuare in quel cielo viola e immateriale: tutto accadeva contemporaneamente, conoscenza e oblio, presenza e assenza, oggi, ieri, domani, soltanto parole senza significato.
Comparve sulla terra, e poi scomparve di nuovo.
Fu visto e dimenticato da persone come lui, fatte per vedere e dimenticare.
E tornò a vedere il cielo viola, per un tempo che furono quattro anni, centinaia di secoli, una manciata di secondi.
Tutto finiva e ricominciava, in eterno.
Avanti e indietro per sempre.
Vide tutto e scordò tutto. Ogni cosa contemporaneamente, instancabilmente, inesorabilmente.
Fino a quando qualcosa accadde.
Nel cielo viola si formò una macchia bianca. La macchia assunse una forma umana e si trasformò in un piccolo uomo.
L’omino cominciò a parlare.
4 risposte a “crononauta (parte 2 di 4)”
Ciao !!!
Molto VERE le tue considerazioni sulla “scomparsa” le condivido appieno !
Non mi va di commentare questa seconda parte perchè …boh non mi è molto chiara; mi sembra diversa dalla precedente…per cui voglio vedere come prosegui.
Baci
ma no infatti c’è poco da commentare qui…
come proseguo ti stupirà (almeno lo spero).
due o tre giorni e arriva anche la parte terza.
baci
posso capire la suddivisione in parti ed il divertimanto di tenere i tuoi lettori sulle spine;
mi rassegno a non sapere la data in cui potrò leggere la continuazione perché è giusto così, non c’è fretta, mettila quando ti va;
però,
quando leggo “due o tre giorni e arriva”,
…
non è forse un tantino crudele?
sì hai ragione 🙂
no è che doveva arrivare davvero in due o tre giorni, poi ho avuto un po’ di menate tra università e cose varie ed è tutto slittato…
allora diciamo che arriverà sabato, in linea di massima.
…
ma johnny vedo che è comparso il link sul tuo nome. e vedo che sei novarese!!
io sono nato a borgomanero, anche se vivo a torino.
coincidenze, con tutta sta rete infinita…