PRIMA CONSIDERAZIONE
Finalmente questo rigurgito di autostrade, discoteche e caleidoscopi è stato ufficializzato. La prima ondata degli amarcord post-11 settembre è giunta a maturazione: ebbene sì, ci piacciono gli anni ottanta. Citiamo gli anni ottanta non appena ne abbiamo l’occasione, a proposito e anche a sproposito. Mastichiamo gli anni ottanta. Vorremmo essere gli anni ottanta, non siamo gli anni ottanta, ce ne rammarichiamo.
Della selezione infinita nel panorama sterminato (ramificato, pulviscolare) del video digitale nel mondo, questa è la prima cosa che emerge: gli anni ottanta. Gli anni ottanta come gusto per l’eccessivo, per lo smodato, per il truce, per il sanguinolento; gli anni ottanta dei primi video-giochi nelle prime (e ora defunte) sale-giochi: pacman, i lemmings, space invaders, l’Atari, il Commodore, e infine (con un tetris fatto di corpi umani, piccoli cadaveri scossi da lievi contrazioni nervose) il Mondo dell’Unione Sovietica, l’Italia della Prima Repubblica; gli anni ottanta come fuga, gli anni ottanta come promessa, gli anni ottanta come macabro, come dispendio, come speranza che muore nel momento stesso in cui te ne stai lì a sperare, e intanto fuori tutto è cambiato di nuovo.
SECONDA CONSIDERAZIONE
Su XL, un mesetto fa, Jeff Beck commentava: “un giorno apriremo un rubinetto e ne uscirà musica”. Jeff Beck aveva ragione, e noi lo sapevamo.
Il Resfest è in sostanza un rubinetto. Un rubinetto che cammina per cinque continenti e dal quale escono immagini in forma liquida. Senza un inizio e senza una fine. Perché il verbo “selezionare” significa tempo e non necessariamente qualità. Perché dividere una goccia da un’altra è operazione complessa e poco postmoderna, figuriamoci quando si parla di avanguardie. Perché se è vero che la rete è ovunque, se è vero che il virtuale e il reale distano solo di un click, un festival di cultura digitale lo sa meglio di chiunque altro.
Il Resfest lascia Torino oggi, dicembre 2006, lanciando un messaggio: “ci vediamo nel cyberspazio”.
TERZA CONSIDERAZIONE
Più passa il tempo e più abbiamo voglia di ridere. Negli ultimi anni l’ironia è una costante della produzione visuale (di quella letteraria un po’ meno, perché dentro ogni scrittore alberga un romantico, o un fedele timorato di dio, che in fin dei conti è la stessa cosa).
Da questi corti (non solo da questi corti) emerge un mondo che riconosce le proprie atrocità, che sente la violenza e la esprime e riesce a riderne. Hanno scritto che dopo l’11 settembre tutto è diventato possibile, e che dopo Auschwitz scrivere poesie è un atto di barbarie. Proprio perché tutto è diventato possibile, scrivere poesie dopo Auschwitz si può fare eccome, purché si tolga la maiuscola alla parola arte. Niente come l’arte fatta per l’industria (l’arte emanata dal mercato, spogliata di ogni metafisica) possiede ad oggi i mezzi per parlare del presente, niente, con tanta potenza e convinzione, può permettersi di giocare dove il resto del mondo edifica tabù. In questo senso il Resfest cita Nietzsche.
QUARTA CONSIDERAZIONE
Se c’è un futuro dobbiamo cercarlo in quella direzione.
Post Scriptum:
Per chi volesse saperne di più su questa bellissima manifestazione il sito ufficiale del Resfest Torino è www.resfestturin.it
(photo by nastiki – flickr.com)

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