Sono rimasto stupito dalle affermazioni che certi leader di partito (IDV, Rifondazione Comunista, Radicali) hanno fatto in questi giorni riguardo alla campagna elettorale del PD e al “Noemi-gate”. Nelle ultime settimane tanto Di Pietro quanto Ferrero e Emma Bonino hanno affermato un concetto molto chiaro e preciso: una campagna elettorale andrebbe fatta sui problemi reali della cittadinanza (crisi economica, salari, occupazione ecc.) e non sulle vicende personali del Premier.
Ora, mi sembra che l’ingenuità contenuta in questa proposizione sia sotto gli occhi di tutti. Non serve scomodare Debord e la sua “Societè du spectacle” per capire come nell’Occidente contemporaneo, e in Italia più che altrove (e grazie a Berlusconi più che a chiunque altro) i confini tra pubblico e privato, tra reale e immaginario, tra spettacolo e quotidianità si sono fatti molto sfumati, per non dire del tutto assenti. Come viene ripetuto giustamente da più parti (Franceschini, ma anche Travaglio e Gomez) è semplicemente pretestuoso affermare che il privato di un uomo politico non interessi la sfera pubblica. Nel caso specifico di Berlusconi, poi (l’uomo che da vent’anni vende sé stesso agli italiani come si venderebbe un bene di lusso, e la sua vita privata come la trama di una fiction) oltre che pretestuoso è ridicolo, quasi surreale.
Perché dunque certe forze politiche si ostinano a non cogliere questa banalità? Perché viene concesso al PDL questo spazio di manovra, questo alleviarsi del pressing, e perché invece non si cerca di mettere Berlusconi alle strette, giorno dopo giorno, ora dopo ora, senza concedere un centimetro di spazio?
Credo che le risposte a queste domande potrebbero essere di tre tipi:
Primo, e più rassicurante: perché in Italia, per qualche strano motivo, l’antiberlusconismo è un’arma a doppio taglio, che necessita di incredibili risorse economiche e logistiche per essere gestita correttamente, senza che la punta del pugnale si rivolga contro la mano che stringe l’elsa. In altre parole, insomma, un attacco concentrato sulla vicenda Noemi e i micro-scandali che la circondano può essere gestito solo da un grande partito come il PD, che può permettersi due equipe (o meglio ancora due organi, come ad esempio la segreteria di partito e un quotidiano nazionale) che lavorino contemporaneamente su fronti diversi: per esempio con Repubblica che mette in ogni giorno in prima pagina le famose 10 domande, e con le seconde file del partito che, nel frattempo, parlano di occupazione, salari ecc. Il rischio per un partito piccolo è in questo caso quello di sbilanciarsi in una direzione rischiosa, trascurando invece tematiche meno sensazionali, ma che non mancherebbero di portare comunque una certa, seppur non troppo estesa, quota di voti.
Secondo, e mediamente allarmante: perché la miopia dei politici italiani non conosce limiti, e può darsi, in questo caso, che Di Pietro e la Bonino ritengano davvero più importanti le questioni occupazionali di uno scandalo che, se gestito correttamente, potrebbe avere pesantissimi esisti sul consenso popolare del governo (il quale, ricordo solo per inciso, pesca non poco tra cattolici ed ex-DC che non possono che vedere in cattiva luce una vicenda condannata anche dai vescovi italiani). A rendere plausibile questa risposta sono quella serie pressoché sconfinata di eventi che hanno permesso, negli ultimi quindici anni, l’emergere e l’affermarsi del monopolio politico di Berlusconi: dalla legge sul conflitto d’interessi di D’Alema fino alla politica del “dialogo” veltroniana (tutti ricordiamo con un certo imbarazzo quel “principale esponente dello schieramente a noi avverso”); e così via.
Terzo, e davvero molto preoccupante: perché nessuno o quasi crede che Berlusconi possa davvero essere eliminato politicamente, o meglio ancora perché una tale eventualità fa più paura a sinistra (o comunque all’attuale opposizione) che a destra. Mi spiego. Se in Italia la sinistra è all’opposizione da quindici anni questo si deve a diversi fattori. Certamente, ad un livello macroscopico, questa “coazione alla sconfitta” deriva da una profonda crisi di identità che ha attraversato la sinistra italiana dopo il crollo dell’Unione Sovietica, portando con sé la frammentazione dei partiti radicali e il progressivo disfacimento identitario dell’ex PCI. Da un secondo punto di vistia, poi, si può dire che la sinistra italiana sia stata ampiamente allenata alla sconfitta dalle logiche geopolitiche della Guerra Fredda (dove il Partito Comunista doveva restare all’opposizione, come da accordo, si potrebbe dire, dai tempi del Piano Marshall in poi), e che liberarsi di questo pesante fardello sia ancora ad oggi uno dei principali problemi dell’attuale PD (e soprattutto, faccio notare, di quegli esponenti del PD che vengono dal mondo comunista; tant’è che paiono molto più incisivi gli ex democristiani come Prodi e Franceschini che non gli ex comunisti come D’Alema e Veltroni, troppo impegnati, ancora oggi, a ridisegnare il proprio passato per poter osare di più nel presente).
Soprattutto, però, mi pare che una eventuale sconfitta politica del blocco Berlusconi (e una sua reale cancellazione dalla scena politica italiana, come è successo ad esempio con Craxi), sia un obbiettivo che le attuali opposizioni non osano nemmeno immaginare, o perché troppo assuefatte al berlusconismo o perché (e io propendo per questa versione) terrorizzate dal dopo.
Che ne sarebbe della sinistra italiana, soprattutto quella radicale, senza l’antiberlusconismo? Sarebbe veramente capace, un’attuale leadership di centrosinistra, di risvolvere quei problemi giganteschi inaugurati dalla stagione 92-93 (corruzione, ricambio della classe dirigente, mafia) e che la discesa in campo di Berlusconi ha in qualche maniera ibernato, congelato allo status quo di qundici, vent’anni fa? E che dire della destra? Può un uomo come Fini tenere le redini di un parito unito dal solo carisma del lider maximo, ma colmo al suo interno di spinte centripete? E siamo ancora capaci, noi cittadini, di immaginare un’Italia senza Berlusconi, o il processo di “berlusconizzazione delle coscienze”, come fa notare Giorgio Bocca, è già arrivato troppo in là? Può darsi che odiamo le riviste patinate, il Grande Fratello, le feste del sultanato in ville sarde: ma cosa si nasconde sotto tutto questo, cosa viene dopo?
Il rischio è quello di trovarsi come un marito (o una moglie) intrappolato in un matrimonio che lo soffoca e che è arrivato nel tempo ad odiare: farebbe di tutto per uscirne, per sbarazzarsi di quella convienza ormai arida, ma non ci riesce perché troppo spaventato dal futuro, dal mondo esterno. Ce la farò senza di lei?, si chiede, e soprattutto: chi sono io senza di lei, cosa sono? E quindi si lamenta, minaccia di andare via, ma in realtà non lo farà mai perché, nel suo profondo, non vuole farlo: il cambiamento è troppo grande, e lui non è ancora pronto per affrontarlo.
Rischiamo in questo modo che la nostra rabbia diventi semplicemente un tassello dello spettacolo, un recita all’interno di una recita più grande, funzionale, in ultima analisi, al perpetuarsi del potere oggetto del nostro rancore; e che proprio quel potere disperzzato si riveli, all’improvviso, necessario alla nostra stessa sopravvivenza.
2 risposte a “show must go on: lo spettacolo e la sua necessità”
io credo che i partiti piccoli puntino più sui contenuti perchè è lì che vincono con la gente, e, in ogni caso, come dargli torto? certo che una campagna elettorale andrebbe fatta su quello, solo berlusconi che più che politico è venditore di fumo può non accorgersene. però, è anche vero che la sinistra italiana ormai si attacca a qualsiasi pretesto per corrodere questo fantomatico consenso del 75% degli italiani: e non è sbagliato, intendiamoci, perchè se berlusconi è ormai protetto da qualsiasi attacco che gli possa essere sferrato a livello legale, non è così dal punto di vista mediatico, perchè o azzarda una censura “di regime”, oppure può solo arrancare dando versioni false, smentendo, smentendosi, smentendo le sue smentite e via di questo passo. forse l’unico modo di sbarazzarsi di lui è battendolo nel terreno che gli è più familiare: l’immagine.
che poi davvero l’opposizione non voglia liquidarlo (tremenda la metafora della coppia logorata!) è una cosa che non voglio nemmeno prendere in considerazione, perchè sarebbe veramente l’ipotesi peggiore da accettare. non credo che gli ex-pci non riescano ad essere incisivi perchè devono ancora “ridisegnare il proprio passato”: semplicemente, l’età anagrafica inizia ad indicare il fatto che siano superati, non in quanto valori, idee etc. ma in quanto modus operandi. prodi forse tranquillizzava con la sua immagine di ex-dc, ma non credo sia questa vecchia appartenenza che lasci più libertà d’azione a franceschini, o forse non in senso stretto: intanto credo che, essendo più giovane, sia meno legato alle logiche politiche da “prima repubblica”. in secondo luogo, la cosa che per me è più importante, è che avendo militato in un partito cattolico, conosce le strategie avversarie, ed è pronto ad anticiparle e (speriamo) a renderle un po’ meno efficaci. perchè io penso sempre che per sconfiggere un nemico si debba conoscerlo, e quelli che lo conoscono meglio, in questa circostanza, sono i cattolici della sinistra.
ho imparato dal presidente del consiglio, SONO OTTIMISTA! prima o poi riusciremo ad annientarlo politicamente. spero ovviamente prima che poi 🙂
mah, guarda, spero che tu abbia ragione.
però il fatto è questo: berlusconi non è invincibile, l’hanno dimostrato queste elezioni europee e lo dimostra ogni sua legislatura: dopo un anno di governo comincia a perdere vertigionosamente consensi (altro che il 75%!! non arriva al 50 neanche con la lega…..). perché da 15 anni occupa la vita politica di questo paese? forse anche perché è comodo averlo, nel bene e nel male, un po’ come catalizzatore di tutto il male della società e un po’ come monito. è affascinante, credo che ogni italiano abbia un po’ dentro di sè questo gusto per la spacconeria, per la truffa, la bella vita ecc. se non si mette in campo questo discorso della fascinazione (anche se spesso è una fascinazione perversa) mi chiedo cosa ci impedisca di disfarci di lui, a parte naturalmente la pochezza della sinistra.