Credo che lo scopo di ogni scrittore dovrebbe essere quello di produrre una letteratura che neghi sè stessa in quanto tale. Che è come dire una letteratura priva di concetti, o anche una letteratura dove i filtri sono fluidi e armonici, o meglio ancora una letteratura che smetta di essere una costruzione che protegge lo scrittore dalle sue paure (soprattutto dalla sua paura di non sapersi relazionare con i propri simili) per trasformarsi in una ponte diretto tra l’intimo dello scrittore e ciò che lo scrittore produce.
Per fare questo, mi sembra, sono necessarie tre condizioni: aver guardato nell’abisso più profondo della propria anima (che non è l’orrore ma qualcosa che si nasconde dietro l’orrore e che generalmente è la vergogna); aver operato un atto creativo capace di sublimare quell’abisso (o quella pulsione) in qualcosa di ordinato e dunque portatore di senso; aver assunto una grossa consapevolezza del proprio corpo (o del fatto che sono le dita, e non la mente, che battono sulla tastiera).
Senza queste tre condizioni essenziali ho idea che si continui a scrivere non di sé stessi ma dell’immagine che si vorrebbe trasmettere all’esterno, e che quindi la comunicazione sia fondamentalmente poco sincera e forse anche un po’ inessenziale. Può darsi anche (ma forse qui esagero) che sia proprio questa la linea di confine che separa le infite gradazioni della cattiva letteratura alle altrettanto infinite gradazioni della buona letteratura.
E questo è solo un pensiero estemporaneo per provare che boring machines non è morto, solo un po’ assopito. Le altre novità di rilievo sono che ho trovato lavoro in una libreria e che da lunedì prossimo pubblicherò su questo blog un racconto a settimana per, diciamo, un mese e mezzo, giusto così, per non far affondare questa barchetta a cui tutto sommato voglio ancora abbastanza bene.
3 risposte a “Estemporaneo”
accidenti.
l’ho letto ora perciò diciamo che le domande che t’avevo fatto ieri hanno già una risposta.
aspetto i racconti qui su b.m., allora.
non ho capito, però, cosa significa “grossa consapevolezza del proprio corpo” e in che modo si leghi con l’atto dello scrivere, se non con il gesto in sé.
a grandi linee significa una cosa semplice. e cioè comprendere che le emozioni che si trasformano in parole scritte passano prima dal corpo che dalla mente. cioè scaturiscono da un dialogo tra il corpo (che percepisce l’ambiente esterno) e la mente emotiva (che percepisce l’ambiente esterno), in un rapporto che naturalmente non è dialettico o dicotomico, visto che il corpo stesso prova le emozioni e la mente agisce condizionata dal corpo che la ospita. in maniera ancora più spiccia significa lasciare che l’emotività percepita dal corpo si trasferisca proprio attraverso il corpo alle parole, eludendo in qualche maniera (o eludendo il più possibile, o meglio ancora piegando alla propria volontà) le difese dell’io che delle parole vorrebbero fare trincee e barricate per proteggere l’intimità dall’esterno.
in sostanza questo, mi rendo conto che può essere un po’ fumoso………
il nuovo lavoro ti consente di smerciare sottobanco manoscritti autografi? Inediti?
Bravo, continua la barchetta che tutto sommato mi piace leggere, anche se ci sono delle pagine che non riesco a comprendere come questa.