CdQ: Essere senza casa vince la sezione saggistica

Sono immensamente felice che Essere senza casa abbia vinto la sezione saggistica delle Classifiche di Qualità dell’Indiscreto per il periodo febbraio-ottobre, superando di poco addirittura un mostro sacro come Carlo Rovelli. Quello delle CdQ è un progetto interessantissimo e visionario (quattro volte l’anno 600 grandi lettori votano i migliori libri di autori italiani in quattro macro-categorie, narrativa, saggistica, poesia e fumetto). Un grosso grazie a tutti i giurati e tutte le giurate che l’hanno votato.

Venendo invece ai libri che ho votato io: innanzitutto felicissimo per Valentina Maini (La mischia, Bollati Boringhieri) che ha strameritatamente vinto la sezione narrativa. L’ho già detto, lo ripeto volentieri: Valentina ha scritto un esordio come se ne vedono ogni dieci anni, un libro multiforme, psichedelico, punk, un’opera di ventriloquismo letterario impressionante e soprattutto un libro mosso dalla forza di un desiderio dirompente. Non mi capita quasi mai di rimanere attaccato a un romanzo dalla prima pagina all’ultima senza un solo calo di tensione, insomma in Italia è arrivata una scrittrice meravigliosa, leggete tutti La mischia.

Per la narrativa ho votato anche Elena Giorgiana Mirabelli (Configurazione Tundra, Tunuè) e Demetrio Paolin (Anatomia di un profeta, Voland), autori di due libri impegnativi e raffinatissimi, ognuno a modo suo. Elena ha scritto una distopia/utopia che ho letto come si ascolta un disco di conceptronica degli anni Settanta, sempre disorientati, sempre incerti di dove ci si trova nello spazio straniante in cui si è stati lasciati, un libro su una delle tensioni per me più importanti, quella tra forma e sensualità. Paolin invece ha scritto un libro inevitabilmente doloroso che mescola la storia del suicidio di un bambino con una riflessione sulla vita del profeta Geremia. L’ho votato per due ragioni: la prima è la forma, quasi unica in Italia (come ha scritto Dario De Marco, il libro è forse un esempio più unico che raro di theory-fiction all’italiana) e il secondo è la lingua, perché Paolin fa parte di quella categoria rara di scrittori la cui parola imbevuta di spiritualità (altri nomi: Marlynne Robinson, Chandra Livia Candiani) è una parola in qualche maniera curativa.

Nella saggistica i miei voti sono andati a Valentina Tanni (Memestetica, Nero), che ha scritto il libro che mancava per collegare la storia dell’arte come la si studia a scuola e la si vede nei musei al mondo di internet: non solo è un libro pieno di curiosità interessanti e documentatissimo, ma anche uno di quei testi che ti fanno vedere collegamenti dove prima non li vedevi, quindi che ti aprono mondi. Il secondo voto l’ha preso Bifo Berardi (Fenomenologia della fine, Nero) perché ha scritto la cronaca del Covid che solo lui poteva scrivere, un libro che ibrida i generi, apre moltissimi spunti di riflessione e interroga sulle trasformazioni profonde portate dalla pandemia.

Terzo voto alla Trilogia della catastrofe di Emmanuela Carbé, Jacopo La Forgia e Francesco D’Isa (Effequ), che è un testo mutiforme, in parte narrativa, in parte reportage e in parte saggistica. Il saggio di Francesco nello specifico tocca un aspetto che mi pare assolutamente fondamentale del presente, quello del nostro rapporto con la morte, un tema di cui si parla forse non per caso pochissimo, in realtà non solo in Italia, e mi ha fatto riflettere moltissimo da quando l’ho letto mesi fa.

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